Sono passati ormai 16 anni da quel 1° gennaio 2002, quando feci la conoscenza con l’euro, mi ricordo ancora cosa avevo comprato: un gelato (avete capito ormai che i gelati mi piacciono tanto) pagato in lire, di cui ricevetti il resto in €. Pochi spiccioli ma mi sembrò già di essere catapultata in qualche paese esotico.  Per tanto tempo rimasi con la doppia contabilità in testa, 20 mila lire corrispondono a …? 10,33€! Armata di calcolatrice puntualmente convertivo prezzi e controllavo che le conversioni fossero svolte correttamente – forse è nata lì la mia passione per l’economia? 1936,27£ = 1€ queste cifre non me le dimenticherò mai. Eppure qualcosa è andato storto nel passaggio dalla lira all’euro, molti percepirono la conversione dei prezzi come ingiusta, tanti dissero che veniva applicato il tasso 2.000,00£ = 1€ (con un aumento dei prezzi pari al (2000-1936.27)/1936.27= 3,29% – superiore all’inflazione italiana nel 2002 che ammontò in media al 2,46%) Se questa cosa accadesse oggi, tempo di deflazione o inflazione molto vicina allo 0, avrebbe qualcosa di straordinario, ma anche allora non fu una cosa indolore soprattutto perché la gente segnalò la presenza di beni e servizi il cui prezzo era stato ritoccato decisamente al rialzo grazie al cambio con l’€. E’ certo comunque che ogni cambiamento importante comporta resistenze e inerzia in chi lo vive, ed è altrettanto pacifico che alcuni parametri sono stati invece convertiti al centesimo (es. i salari e le tasse), questo ha comportato nella popolazione un malcontento generale che forse neanche dopo 16 anni si è smorzato completamente.

Ci sono delle cose che però si possono misurare e verificare più o meno puntualmente.

Possiamo affermare con una certa sicurezza che nel cambio con altre valute l’€uro ci ha permesso di guadagnare potere d’acquisto rispetto alla lira, ossia se convertiamo in lire un tasso espresso in €  noteremo che è più elevato di quanto fosse uno vecchio, tutto ciò però non è  detto che sia vantaggioso per la nostra economia: partendo dalla formula del PIL = I+C+G+X-M, dove I sono gli investimenti, C il consumo, G la spesa pubblica netta, X le esportazioni e M le importazioni, un cambio elevato agevolerà le importazioni perché permetterà di pagare meno la merce e i servizi importati, mentre disincentiverà le esportazioni penalizzando chi compra il “Made in Italy” nel mondo. L’effetto netto sul PIl dipende  dall’elasticità della domanda per le importazioni e le esportazioni secondo le condizioni di Marshall – Lerner.

Per quanto riguarda l’inflazione, al di là del passaggio di moneta nel 2002, nessuno può dire cosa sarebbe successo mantenendo la lira e quindi fare confronti ceteris paribus; osservando l’immagine relativa all’indice dei prezzi al consumo però, è possibile vedere come nel periodo di entrata in vigore dell’€ questo indicatore non abbia subito un particolare incremento tale da indicare una situazione “patologica”. Così come si può dire che la politica economica perseguita dalla BCE, che si basa sul contenimento dell’aumento dei prezzi entro il 3%, abbia funzionato bene, anche se a causa della recente crisi economica attualmente non c’è il pericolo di sforare questo valore in Italia e anzi molti puntano il dito contro questo aspetto, invocando un maggior liberismo sullo stampo della Federal Reserve, la quale è disposta ad un maggior carovita pur di veder l’economia statunitense espandersi (dato che il principale obiettivo della Fed è quello di minimizzare il tasso di disoccupazione). Nelle indicazioni della BCE però riecheggia la paura dell’iperinflazione subita dalla Germania nel secondo decennio del secolo scorso, ben rappresentata dalle immagini di bimbi che giocano con pacchetti di banconote, da cui discende l’obiettivo principale della politica economica europea di mantenere stabile il più possibile l’indice dei prezzi, con conseguente relativa stabilità del valore della moneta.

Infine, ma non meno importante, l’abbassamento dell’inflazione ha portato anche ad una diminuzione dei tassi di interesse nominali, che da un valore a due cifre ante moneta unica sono scesi entro un corridoio più o meno stabile del 3-4%: questo ha comportato una diminuzione del costo del debito sia per i privati che per la Pubblica Amministrazione. Insomma l’€, a conti fatti, ha comportato diversi benefici e qualche aspetto negativo, ma nel complesso ha reso la nostra politica monetaria più forte e più stabile (indipendentemente da quanto purtroppo è successo con la crisi economica.)