Avete presente una “cash cow”, un’azienda matura, con un portafoglio vincente di prodotti, cicli di produzione rodati, bassi investimenti in marketing e in ricerca e sviluppo, l’Eden degli investitori finanziari in pratica? Ecco, le squadre di calcio (soprattutto quelle ad alti livelli) non sono proprio “cash cows”. Notoriamente in carenza di liquidità, con ammortamenti da capogiro e debiti astronomici, sono investimenti che richiedono un pugno di ferro nella gestione finanziaria.

La Uefa conosce bene questo problema e ha cercato di porre un freno alle esposizioni dei club verso altre società o terzi. Da settembre 2009 è stato introdotto il concetto di fair play finanziario ed è diventato via via più stringente. Lo scopo è quello di evitare che le società mettano in campo giocatori, pagati decine o centinaia di milioni di €, accollandosi debiti enormi che verranno ripianati da qualcun altro, di fatto falsando la competizione fra i club. (Fonte: uefa.com)
Dal 2010 per poter giocare le squadre devono dimostrare di non avere debiti insoluti e dal 2013 devono raggiungere il break even point (il punto di pareggio) al lordo dei costi di ristrutturazione degli stadi e degli investimenti nelle squadre giovanili e femminili. Esistono anche altre concessioni per i club, per la stagione calcistica 2017/18, ad esempio, è possibile andare in perdita per 30 milioni di € (non sono proprio bazzecole), tuttavia il messaggio che manda la Uefa è questo: “Basta accumulare debiti su debiti!”
Cosa succede però se un club non rispetta i parametri fissati dal regolamento sul fair play finanziario?
Ci sono diversi provvedimenti tra cui l’avvertimento, il richiamo, la multa, la decurtazione di punti fino alla revoca dei titoli o premi.
In generale ci sono due approcci per comporre le dispute con la Uefa: il settlement, dove la squadra deve accettare le decisioni prese dall’organismo di controllo, e il voluntary agreement, dove la società diventa parte attiva del piano di rientro e propone modalità e tempi per il recupero del debito.

In tutto questo cosa c’entra Neymar?
L’ex stella del Barça era vincolato al club blaugrana con una clausola rescissoria da 222 milioni di €, che non poteva essere pagata direttamente dal Paris Saint Germain. La Qatar Sport Investments (proprietario della squadra francese) ha quindi consegnato quei soldi al calciatore come ingaggio da testimonial dei Mondiali di calcio del 2022, che sono poi stati dirottati nelle casse della squadra catalana per chiudere il contratto, aggirando così i limiti imposti dal fair play finanziario. (Fonte: gazzetta.it)